Chi prova a collegare un giradischi a un ingresso AUX o CD di un amplificatore scopre subito che il volume è bassissimo e i bassi quasi assenti. Il motivo risiede nella natura stessa del segnale generato dalla testina fonorivelatrice. L’elettromotore di una testina MM o MC produce tensioni dell’ordine di millivolt, in genere da 2 mV a 5 mV per le MM e persino meno per le MC, contro il mezzo volt circa che un ingresso linea si aspetta. Inoltre, durante la stampa del disco, le frequenze vengono equalizzate secondo uno standard – la curva RIAA – che attenua i bassi e potenzia gli acuti: lo scopo è ridurre l’ampiezza dei solchi alle basse frequenze e minimizzare il rumore di superficie alle alte. Il risultato è un segnale drasticamente sbilanciato, che deve essere prima riportato a livelli lineari, poi amplificato a valori compatibili con la sezione di controllo del sistema hi-fi.
Indice
La doppia funzione del preamplificatore phono
Il preamplificatore phono svolge in un colpo solo due compiti. Da un lato applica un guadagno elettrico: il circuito alza il livello del segnale dalle frazioni di millivolt fino ai 300-500 mV necessari a un ingresso linea convenzionale. Dall’altro lato esegue l’operazione matematica inversa di quella impressa in fase di masterizzazione, cioè la de-equalizzazione RIAA. In pratica, al segnale a bassi compressi e alti enfatizzati il preamplificatore restituisce energia nella regione delle basse frequenze mentre attenua le alte, così da riportare la risposta in frequenza alla linearità percepita dall’orecchio umano. Il tutto deve avvenire mantenendo il rapporto segnale-rumore il più elevato possibile, perché stiamo partendo da tensioni molto piccole e qualunque fruscio introdotto verrebbe anch’esso amplificato.
Equalizzazione RIAA: un giro di valzer logaritmico
La rete di equalizzazione, cuore del pre phono, è di solito un filtro passa-banda sagomato con punti di taratura elettrica a 50 Hz, 500 Hz e 2122 Hz secondo la norma RIAA. In termini semplici, al di sotto di 50 Hz il pre lascia inalterato il guadagno; fra 50 Hz e 500 Hz scala progressivamente verso l’alto, poi fra 500 Hz e 2122 Hz prosegue la risalita più moderata, per infine scendere oltre i 2122 Hz. L’implementazione può essere attiva, dove op-amp o valvole amplificano e al contempo equalizzano, oppure passiva, con il segnale che prima riceve la curva tramite una rete RC e poi subisce il guadagno. La topologia passiva introduce meno distorsione, ma esige stadi successivi più silenziosi; quella attiva è più economica e compatta, ma richiede componentistica di alto livello per mantenere la precisione dei valori RIAA.
Impedenza di carico: l’altra metà della coppia
Una testina MM si aspetta di “vedere” un carico di circa 47 kΩ con una piccola capacità parassita – di solito fra 100 pF e 200 pF – costituita dal cavo e dall’ingresso stesso. Se l’impedenza cala troppo, gli acuti si attenuano; se la capacità è eccessiva, un picco di risonanza enfatizza zone sgradite della risposta. Le testine MC, avendo induttanze molto più basse, richiedono carichi fra 10 Ω e 470 Ω, spesso impostabili tramite selettori o micro-switch sul dorso del pre. Un corretto accoppiamento permette alla bobina di cedere energia senza riflessioni o perdite di fase, traducendosi in palco sonoro stabile e timbro naturale.
Sorgente di rumore e alimentazione
Poiché il segnale è già di suo vicino al rumore termico, il design del preamplificatore dedica grande attenzione alla scelta di transistor a basso flicker noise, di op-amp audio-grade e, soprattutto, di un’alimentazione priva di ripple. Molti modelli top usano alimentatori esterni lineari per isolare il secondario toroidale e i diodi raddrizzatori dal circuito sensibile, altri privilegiano la batteria ricaricabile, abbattendo sul nascere qualsiasi interferenza di rete. Anche il layout dei collegamenti interni – piste corte, massa stella e schermature localizzate – incide in maniera udibile sul risultato finale.
Differenza fra MM e MC step-up
Alcuni preamplificatori integrano uno step-up addizionale per testine MC. Può essere attivo, con un ulteriore stadio di guadagno a transistor, oppure passivo sotto forma di trasformatori di step-up (SUT). Quest’ultima soluzione offre un rapporto segnale-rumore eccellente, ma richiede trasformatori avvolti con estrema precisione e corretti rapporti di impedenza, spesso a costo elevato. Gli stadi attivi, invece, sono più flessibili e regolabili, ma devono combattere con la generazione di rumore aggiuntivo in banda udibile.
Interfacciamento e messa a terra
Il cavo che collega il giradischi al preamplificatore trasporta segnali a bassa impedenza e ad alto rapporto di sensibilità al campo elettromagnetico. Per questo i connettori RCA sono quasi sempre affiancati da un morsetto di massa: collegare lo chassis del giradischi a quello del preamplificatore crea un equipotenziale che riduce ronzii a 50 Hz. Il corretto routing dei cavi di potenza lontano da quelli di segnale evita che i trasformatori di amplificatori o ciabatte elettriche inducano hum. A valle, l’uscita linea del pre phono si comporta come qualsiasi sorgente: potrà andare all’ingresso AUX, Tape o direttamente a uno stadio di conversione analogico-digitale per archiviazione su PC.
Taratura e controlli sul pannello
Un pre phono di fascia medio-alta offre selettori per guadagno (tipicamente 40 dB, 50 dB, 60 dB) e carico d’ingresso. Un settaggio troppo basso lascerà il segnale sotto il rumore di fondo dell’amplificatore, costringendo a ruotare la manopola volume oltre metà corsa. Un guadagno eccessivo, invece, saturerà lo stadio successivo, con distorsione e compressione del transiente. La regola empirica: mirando a 2 V RMS in uscita linea, calcolare il guadagno in dB col logaritmo dei millivolt nominali della testina. Una MM da 4 mV richiede circa 40 dB; una MC da 0,25 mV necessita di oltre 60 dB.
Conclusioni
Il preamplificatore phono è spesso percepito come un accessorio marginale, ma nei fatti rappresenta la prima — e quindi più critica — maglia della catena audio analogica. Guadagno, equalizzazione, impedenza di carico e silenziosità dell’alimentazione convergono per trasformare un microscopico segnale elettromagnetico, inciso nella fessura di un disco, in una forma d’onda sufficientemente robusta da percorrere senza danni il resto dell’impianto. Scegliere un pre phono adatto alla propria testina, tararlo con pazienza e garantirgli un cablaggio privo di interferenze equivale a spalancare il palcoscenico a tutte le sfumature che il vinile custodisce: dai pianissimo emergenti solo in un nero silenzioso, ai transienti dinamici che solo un guadagno esente da saturazioni può restituire intatti.